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L’Africa è la terra dei contrasti, dagli aridi deserti alle praterie, dalle foreste pluviali a fertili paludi. Ma è anche la terra delle prime innovazioni. Infatti, i popoli che abitavano queste terre nel periodo delle grandi migrazioni portarono con sé, durante i loro spostamenti, cereali come miglio ed orzo. Questi cereali però non venivano coltivati per sfamarsi, bensì per produrre la birra che ha contributo allo sviluppo dell’agricoltura.

L’antico Egitto

La birra si diffuse nell’antico Egitto intorno al 3.500 a.C. dove veniva considerata un elemento essenziale all’interno delle loro diete e rimase per più di 3.000 anni la bevanda più popolare. Gli antichi egizi credevano che l’arte della birra discendesse direttamente da Osiride, (l’inventore dell’agricoltura e della religione) considerandola così la bevanda più sicura e più bevuta, tanto da dedicarle una divinità: la Dea Tenenet.

Con l’arrivo di Alessandro Magno che nel 332 a.C. conquistò l’Egitto e introdusse leggi e tasse che ostacolarono la birra, il vino prese il sopravvento.

La cultura birraria

La birra indigena, tramandata dalle donne di generazione in generazione, veniva consumata durante la fase di fermentazione quando i lieviti ed i batteri locali utilizzati per convertire in alcol gli zuccheri dei cereali creano delle birre sempre diverse per gusto e profumi. Questo fa parte delle tradizioni di “birra casalinga” tipiche della cultura di questi popoli.

Queste birre, presenti ancora oggi nel mercato locale, vengono fatte con alcuni prodotti tradizionali (es: miglio, radice di Manioca), ma le birre disponibili attualmente sul mercato africano sono prevalentemente Lager di stile Europeo.

Prima del 1600, le donne che abitavano Capo di Buona Speranza, producevano Birre con ingredienti locali da bere durante feste, incontri ed altri eventi, ma con l’arrivo degli europei vennero inseriti nuovi ingredienti che riflettevano maggiormente i loro gusti.

Questa parte di terra divenne uno scalo per le navi della Compagnia delle Indie e, nel 1664, i coloni olandesi concessero la licenza per produrre birra che veniva poi venduta ai marinai per i viaggi in mare. Così il monopolio della Compagnia delle Indie Orientali sui prodotti importati e le condizioni di vendita hanno soffocato l’industria birraria locale.

La nascita dei birrifici ed i nuovi ostacoli

Nel 1790 l’arrivo degli inglesi ha portato alla nascita di nuovi birrifici.

Ma con la corsa all’oro della fine del XIX secolo, seppur aumentò la richiesta di lavoratori, i coloni proprietari delle miniere, temendo che l’alcol riducesse la produttività dei minatori, introdussero una legge (nel 1897) che dichiarava illegale il consumo di alcol da parte degli abitanti di quelle terre.
Questo però, ha avuto anche un effetto contrario e inaspettato, infatti i proprietari delle miniere stesse iniziarono a vendere, tramite il mercato nero, la birra ai loro lavoratori o a fornirla come compenso salariale.

Il tipo di birra e lo stile di produzione che hanno introdotto i coloni europei, dall’inizio del 900, ha lasciato un segno indelebile. Iniziarono così a sorgere i grandi birrifici che, per ampliare il loro business, cominciarono a produrre birre con ingredienti locali così da indurre all’acquisto anche i consumatori di birra casalinga.

Nonostante le restrizioni imposte, le donne continuavano a produrre le birre tradizionali e, durante gli anni dell’apartheid (1948-1991), la producevano in segreto ed offrivano un posto dove consumarla e rilassarsi. Con l’abolizione dell’apartheid, questi luoghi segreti sono diventanti luoghi popolari dove recarsi per compare alcolici, mangiare e stare in compagnia.

Oggi, nonostante il mercato sia guidato da poche grandi aziende e da una buona presenza di birrifici artigianali, esiste ancora la tradizione della “birra fatta in casa”.